Tessera 31

Le tre responsabilità nel coaching

Nel linguaggio comune, la parola responsabilità assume spesso una connotazione negativa. Essa è associata, per lo più, a un carico, un peso, una fatica; si dice che una persona ha la responsabilità della famiglia, o dell’impresa che conduce o dell’incarico che gli è stato assegnato, come a dire che “tocca a lui” portare questo peso e che sarà colpa sua (la parola “colpa” normalmente non è citata, ma è lasciata incombere sullo sfondo) se le cose non andranno come dovrebbero andare.

Il termine responsabilità assume poi, tuttalpiù, una sfumatura positiva quando con essa si fa riferimento ad un avanzamento professionale, per esempio dicendo che la tal persona ha assunto la responsabilità di una nuova area, di un settore più grande o di un incarico di rilievo. Anche qui, però, dietro la connotazione positiva, fa capolino lo spauracchio del fallimento, dell’inadeguatezza e del rischio.

A ben guardare, però, la parola responsabilità ha un nucleo fondante nella dimensione di abilità a rispondere (respons-abilità, appunto), cioè nel riconoscimento, del tutto positivo, che la persona ha la capacità, le doti, la competenza e tutto ciò che serve per assumere un ruolo ed esercitarlo con efficacia. La responsabilità, dunque, prima ancora che carico, è RICONOSCIMENTO di un’abilità. Va di pari passo, quindi, che l’assunzione di responsabilità, da parte di chi la riceve, sia il riconoscimento di possedere questa abilità: ad una attribuzione esterna, che il mondo mi conferisce, corrisponde – o dovrebbe corrispondere – la mia consapevolezza di poterla esercitare.

Questi aspetti, qui tratteggiati in modo molto rapido e asciutto, sono fondamentali e degni di approfondimento quando ci si riferisce alla responsabilità che si esercita lungo un percorso di executive coaching. Il coachee, infatti, cioè colui che affronta un percorso di cambiamento attraverso lo strumento del coaching, si trova a dover attuare la responsabilità sotto una triplice dimensione: l’intenzione, la capacità, la volontà.

Vediamo questi tre aspetti uno alla volta.
L’intenzione. Ovvero, il coachee desidera assumersi la responsabilità di un suo cambiamento. Sia il cambiamento di un atteggiamento, di un comportamento, di un modo di fare; sia esso specifico e circoscritto o pervasivo di tutte le sue relazioni, il coachee si rapporta al cambiamento con il desiderio di perseguirlo. Pare cosa ovvia, altrimenti perché affrontare un percorso di coaching? Tuttavia non sono rari i casi in cui le persone affrontano un percorso di executive coaching spinte da desideri di altri nei loro confronti. “Il mio capo mi vorrebbe così….” “La cultura di questa azienda mi vorrebbe cosà….” ecc, sono frasi che spesso si sentono dire e che nascondono, neanche tanto bene, il desiderio di compiacere, ma non certo quello di cambiare. E con queste premesse probabilmente non si andrà lontano.

La capacità. Il secondo livello di responsabilità di un coachee nel percorso di coaching è quello di attribuirsi realmente la possibilità di cambiare, di instaurare un agire nuovo, di interrompere vecchi schemi comportamentali. Spesso, in un percorso di executive coaching, ci sono frasi che fanno da scudo al cambiamento, frasi come “sono fatto così…”, “E’ il mio carattere”, “L’educazione che ho ricevuto fa sì che…” “Vorrei cambiare, ma non dipende da me” ecc.

Queste frasi, al di la di essere dei modi di dire in cui spesso ci rifugiamo, a volte nascondono una reale convinzione di non essere totalmente padroni delle proprie scelte, ma di essere in qualche modo determinati dal passato, dalle circostanze, dagli altri. Anche in questo caso il percorso di coaching troverà barriere piuttosto alte, poiché il cambiamento avviene sempre partendo dall’interno, dalla reale consapevolezza della persona di poterlo attuare.

Infine, c’è la responsabilità intesa come volontà. Essa è diversa dalla semplice intenzione, non solo per il grado di intensità. La volontà è più del desiderio e si misura quando insorgono gli ostacoli: cosa succede della mia intenzione positiva quando si scontra con lo scetticismo dell’ambiente, con le resistenze dell’organizzazione, con l’inerzia del mio agire? Quali strumenti metto in campo quando il nuovo comportamento fatica a diventare abitudine consolidata? Quale resistenza dimostro quando il roseo panorama che mi ero immaginata si trasforma in duro terreno di battaglia?

Forse qui sta proprio la vera dimensione della responsabilità, cioè la capacità di tradurre i miei iniziali desideri in piani d’azione concreti, che dipendono da me e non dalle circostanze, che affrontano le difficoltà come trampolini per volare più in alto e che fanno dire, al termine del percorso, “ce l’ho fatta davvero”.

Risultato indiretto, ma non meno importante, della responsabilità agita in questi termini è un senso di rinnovata libertà, a cui si aggiunge una autostima che sarà, sicuramente, fonte di obiettivi ancora più alti.

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