Una nuova parola, sino ad ieri inimmaginabile, si sta insinuando nelle aziende aprendosi un varco nel lessico manageriale; spiritualità. Ricercatori, psicologi, studiosi di management d’oltreoceano già da qualche anno si occupano di Workplace spirituality. Per fortuna nostra, le idee migrano molto più degli uomini e non hanno confini, si contaminano e sono generative. Questa riscoperta della dimensione spirituale nel mondo aziendale si sta affacciando anche da noi.
Sempre più frequentemente nelle sessioni di coaching percepiamo un bisogno diffuso e impellente di trovare un senso al proprio lavoro che vada la di là del ruolo e competenze. C’è ancora un po’ di timore ad usare la parola spiritualità; chi la chiama equilibrio, chi forza interiore, chi spinta, chi energia realizzatrice. E in latino spiritus indica, appunto, “soffio”, “aria”, “ forza vitale”, “anima”.
Sono tutte parole che rimandano a una sorgente interiore, profonda e incontaminata, sganciata dal fare quotidiano e dal controllo sulle cose e sulle persone; la spiritualità cui ci riferiamo non è legata ad una particolare confessione religiosa, ma ad un sentimento universale che si esprime in un bisogno di trascendenza, di superare la dimensione egoica, di una profonda connessione con tutte le cose, di un senso di benessere interiore e di speranza.
Ma perché oggi, soprattutto nei luoghi di lavoro ( ma anche nel privato), sentiamo così impellente il bisogno di una dimensione spirituale che ci aiuti a sopportare lo stress del risultato, della competitività, del dover essere efficienti, che ci spinge a ritrovare un significato profondo in ciò che siamo e che facciamo?
Più che risposte proviamo a lanciare qualche stimolo.
I cambiamenti economici e sociali hanno prodotto un senso di impotenza, di incertezza e di confusione esistenziale.
Nei luoghi di lavoro si sta perdendo quel senso di appartenenza e di identità che garantiva una certa stabilità emotiva, sociale e psicologica; quando le organizzazioni erano più “solide” (ma anche tanto statiche), giorno dopo giorno si costruivano relazioni durature, si faceva “carriera” nel tempo, seguendo le tappe in maniera lineare. Preistoria.
Oggi i posti di lavoro sono sempre più intercambiabili, anonimi e si fatica a “trovare se stessi” in azienda ; ci si sente con un’identità professionale frammentata e la frammentarietà provoca malessere.
Molti manager lamentano un senso di vuoto, di esaurimento causato dalla pressione costante cui sono sottoposti. A volte, nello spazio protetto della sessione di coaching dove i bisogni più profondi possono svelarsi, i manager si descrivono con una immagine ricorrente; si vedono come un criceto sulla ruota . Dicono di avere la sensazione di girare all’infinito. Sempre tante cosa da fare; una riunione, un nuovo progetto, un obiettivo ancora più sfidante: “Ma io, in tutto questo correre, dove sono?” Si domandano.
Il santo eremita Bernardo, a papa Eugenio che si lamentava del peso del suo uffizio, scriveva: “Concediti a te stesso”, facendogli notare che l’eccessivo carico di lavoro lo estraniava da sé, dalle proprie emozioni e sentimenti allontanandolo dalla sua mission, diremmo oggi; essere Pastore di anime.
Nei posti di lavoro nasce, dunque, il desiderio di una spiritualità “laica”, che aiuti a tollerare le tensioni quotidiane e ritrovare un significato del proprio operato.
Come rispondono le aziende a questo crescente bisogno?
Con difficoltà; si punta sì allo sviluppo personale limitato però nell’ambito delle competenze e dei comportamenti.
Alcuni psicologi americani sostengono che la salute dei dirigenti dipenda da quattro fattori: il benessere fisico, il benessere psicologico, il benessere etico e il benessere spirituale. Sole se tutte le quattro dimensioni sono in equilibrio si possono ottenere risultati eccellenti. Altrimenti è come sedersi su una sedia cui manchino delle gambe; si cade.
Nelle organizzazioni le prime due dimensioni sono senz’altro saldamente monitorate, anche la sfera dell’etica sta trovando spazio grazie alla responsabilità sociale, ma la spiritualità è trascurata. Difficile anche parlarne nei “piani alti” e fra le scrivanie degli open space: “Non siamo mica dei bigotti”.
Eppure la spiritualità è così connaturata alla nostra umanità da non poter essere lasciata fuori dal lavoro, aspetto fondamentale della nostra vita che, oggi, divora quasi tutto il tempo di cui disponiamo. C’è una crescente esigenza di ricerca di significato del proprio fare, di esprimere non solo le proprie abilità tecniche e intellettuali ma anche le motivazioni più profonde.
Quale impatto potrebbe avere in azienda coltivare la dimensione spirituale?
Difficile misurare in maniera “scientifica” e oggettiva questa dimensione che ha un nucleo fortemente soggettivo; eppure alcuni effetti positivi, come ci suggeriscono i nostri ricercatori d’oltreoceano, sarebbero già visibili sia a livello organizzativo, che manageriale e individuale.
A livello organizzativo si avvertirebbe un maggior clima di soddisfazione e di identificazione con l’azienda grazie alla percezione dell’utilità e dello scopo del proprio lavoro. Inoltre avrebbero maggior spazio comportamenti virtuosi quali il rispetto, la responsabilità, la fiducia, l’altruismo. Si abbasserebbero i livelli di stress lasciando spazio ad un clima lavorativo più disteso eco operativo.
A livello individuale la consapevolezza di contribuire con il proprio lavoro ad un significato più ampio del mero tecnicismo favorirebbe la creatività, la realizzazione personale, la nascita di sentimenti di soddisfazione e voglia di fare. Gli scambi relazionali fra colleghi sarebbero più autentici tali da promuovere un senso di comunità, di connessione profonda e di appartenenza al proprio gruppo di lavoro.
Al livello manageriale un contatto profondo con la propria “forza vitale” porterebbe ad una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie emozioni, pensieri, comportamenti, a focalizzarsi su ciò che è importante ed essenziale ritrovando se stessi come persona al di là del ruolo; ne beneficerebbe anche la propria leadership più autentica ed efficace.
Oggi il compito del leader è dotarsi di una forte bussola interna sia per fronteggiare i cambiamenti interni ed esterni all’azienda, sia per far crescere nei collaboratori fiducia, appartenenza, motivazione.
Il noto psicologo americano Howard Gardner, scopritore delle intelligenze multiple ne ha aggiunta, negli ultimi anni, un’ulteriore: l’intelligenza spirituale, ossia quella capacità di riflessione profonda che porta ad integrare se stessi con le proprie azioni. E questa sensazione di coerenza sviluppa coraggio, responsabilità, positività per sé e per gli altri.
Come coltivare la spiritualità?
Ci vengono in aiuto alcune pratiche di consapevolezza quali la meditazione, l’attenzione al respiro che aiuta ad ancorarci al presente, la Mindfulness, il lavoro sul corpo.
Anche il contatto con la natura, un cammino silenzioso nei boschi, un perdersi in un tramonto…..non ci sono ricette; è esperienza e ricerca individuale. L’importante è creare un proprio spazio di silenzio interiore cui attingere ogni volta se ne avverta la necessità.
Quali sono gli spazi dove accrescere la dimensione spirituale al “ lavoro”?
Noi crediamo fortemente che la pratica del coaching sempre più possa essere strumento prezioso di accompagnamento esistenziale e professionale.
“Calma la mente, e l’anima parlerà”
Ma Jaya Sati Bhagavati