Tessera 34

Intelligenza emotiva quotidiana

Con un moto di soddisfazione e orgoglio sento sempre più Manager, Imprenditori e Professionisti parlare dell’importanza dell’intelligenza emotiva. Orgoglio, perché aiutare le persone a sviluppare l’intelligenza emotiva in contesti organizzativi è la mia missione e se la mia missione è giudicata importante, allora – bhé – io cresco (in altezza 🙂 ).

Per poi constatare, nei fatti, che bastano piccole situazioni, circostanze ordinarie di vita quotidiana, a renderci tutti emotivamente incompetenti.

Ecco alcuni esempi di vita lavorativa ordinaria: il collaboratore che fa davvero un bel lavoro, o che gestisce con particolare dedizione e sacrificio una situazione critica e stressante, e che non vede sottolineato e riconosciuto (e non intendo economicamente) dal suo Manager il suo impegno. Il collega sgarbato a cui rispondi “pan per focaccia” perché “sì, so cos’è l’intelligenza emotiva ma con lui non è possibile”. Il partner (il business partner ma anche il collega di un’altra divisione/unità organizzativa) che ha le sue esigenze e i suoi problemi e di fronte alle tue evidenti difficoltà non fa un passo per venirti incontro ma, anzi, ti rende il percorso ancora più accidentato. E tu, per contro, lo liquidi mentalmente con un catartico @x$@°°##. Generando, così, una spirale di diffidenza e astio che difficilmente porterà a buoni risultati (e di sicuro non farà che aumentare il livello di stress di entrambi).

L’intelligenza emotiva non è una competenza che serve sviluppare per essere pronti a gestire al meglio negoziazioni di grande calibro oppure un sofisticato strumento di Leadership adatto solo a chi sta al vertice delle grandi organizzazioni. E’ un’attitudine – alla portata di tutti – alla gestione delle proprie ed altrui emozioni nelle piccole, apparentemente insignificanti e vili, situazioni quotidiane.

Ogni giorno ci troviamo coinvolti in diverse trattative: oltre che con clienti e fornitori, anche con colleghi, collaboratori, parenti e amici. Persino l’organizzazione del weekend può diventare una trattativa.

Ho però la sensazione che ad una maggior diffusione della cultura del “cos’è” l’intelligenza emotiva non corrisponda ancora un vero sforzo di cambiamento dei propri comportamenti per metterla in pratica, laddove ci venga sottoposta quotidianamente la scelta di essere intelligenti o… no.

E’ stato proprio Daniel Goleman, riconosciuto come il grande maestro dell’Intelligenza Emotiva, a dire “Quando sfuggono al controllo, le emozioni possono rendere stupidi individui intelligenti”. Già.

A cosa serve tutta l’esperienza accumulata in anni, la conoscenza del mercato e delle sue dinamiche, la competenza di prodotto e delle componenti più tecniche dell’offerta, se poi basta un breve dialogo con un collega (talvolta persino con un cliente…) per farlo “rimanere male” (leggi: per farlo sentire uno stupido, un incompetente, uno poco importante, uno che non merita la tua stima…) e intralciare, così, l’efficacia della relazione di interdipendenza? Sì, perché siamo tutti dipendenti l’uno dall’altro. Ogni relazione, infatti, prevede uno scambio. Può essere un’opportunità o un rischio: opportunità di aiutare o di essere aiutati; rischio di fare del male o di riceverne.

E’ esperienza di molti, credo, quella di scegliere un negozio/fornitore anche e soprattutto perché l’interlocutore “è proprio una brava persona”. Cosa c’e’ dietro a questa sensazione? C’e’ la capacità di chi sa curarsi prima della persona che dell’oggetto della transazione. C’e’ l’intelligenza (emotiva, ma sempre intelligenza è!) di capire che se con il cliente/collega/PERSONA instauro una relazione di fiducia, rispetto e cura, quella persona – se anche non compra oggi perché ci sono ragioni oggettive che glielo impediscono – di sicuro si ricorderà di me in un altro momento e mi preferirà ad altri.

Ogni decisione è, per definizione, un processo emotivo. Scegliamo non solo in base ad una valutazione razionale ma a come quella situazione/persona ci fa “sentire”.

Se dedico attenzione solo al contenuto delle mie comunicazioni, e non alla salute della relazione che sta alla base dello scambio professionale o economico, ben presto quella relazione appassirà e anche il contenuto perderà di rilevanza.

E allora veniamo a qualche indicazione sul “come” mettere in pratica l’intelligenza emotiva nelle situazioni ordinarie della vita quotidiana (lavorativa ma non solo).

1. Quando interagiamo (parliamo o scriviamo) con una persona (che non abbiamo lasciato l’istante prima, s’intende), ricordiamoci di: salutarla, usare il suo nome (è il suo primo elemento distintivo) e chiedere “come sta” (e non “come va”: l’interesse è sulla persona). Ovvio, no?! Già, solo che di solito lo facciamo come formula automatica di cortesia che non è pronta a ricevere una risposta. Accompagniamola, invece, con un tono di sincero interesse per l’altro e prepariamoci ad ascoltare la risposta e a dispiacerci o compiacerci a seconda di quello che sentiamo. Indugiamo senza troppa fretta a scambiare due parole su ciò che può essere rilevante per la persona che sta dietro al quel professionista, su ciò che gli piace e gli sta a cuore. Quello che gli anglosassoni chiamano “small talk” non è tempo sprecato, è tempo per nutrire la relazione.

2. Esplicitiamo pure il nostro bisogno/interesse/obiettivo ma dimostriamo di riconoscere e comprendere (che non vuol dire condividere) il bisogno dell’altro. “Capisco che tu voglia… e lo probabilmente lo vorrei anche io se fossi nei tuoi panni”. “Mi rendo conto che tu abbia interesse a…

3. Se abbiamo a che fare con qualcuno di difficile – o qualcuno che in quel momento ha perso le staffe – soffermiamoci a intercettare ciò che quella situazione ci sta generando emotivamente. Se la cosa ci fa “saltare la mosca al naso”, prima che salti davvero realizziamo intanto che abbiamo una mosca sul naso. E cacciamola via, prima che finisca nel piatto. A seconda di cosa è possibile fare in quella circostanza, suggeriamo un break, rimandiamo ad un momento migliore, facciamoci un giro, respiriamo profondamente, fissiamo un punto della stanza, ascoltiamo pazientemente lo sfogo fino a che la rabbia dell’interlocutore perde la sua energia, pensiamo a quando questo momento sarà passato e risulterà ridicolo e insignificante nella nostra storia personale; insomma… facciamo qualcosa che ci stacchi/distacchi momentaneamente dalla NOSTRA emozione controproducente. Poi riprendiamo il dialogo, pensando a cosa vogliamo ottenere da quella interazione al di là di come ci ha fatto sentire. Focalizziamoci sull’obiettivo e chiediamoci se ciò che ci verrebbe automatico dire/fare è utile, o meno, a raggiungerlo. Come dice Justin Bariso in “EQ applied”: “l’intelligenza emotiva è la capacità di fare in modo che le emozioni lavorino per te e non contro di te”.

4. Facciamo qualcosa che stupisca l’altro e neutralizzi anche solo per un attimo la SUA emozione negativa. E’ qualcosa di assolutamente controintuitivo ma sortisce sempre effetti incredibili proprio perché inatteso: troviamo il modo di fargli un complimento (“capisco e apprezzo il fatto che ci tenga a…”, “con tutta la tua esperienza sono sicuro che tu possa aiutarci a trovare la soluzione migliore…”), riconosciamo qualcosa di interessante che ha detto o le valide motivazioni (almeno dal suo punto di vista) per cui lo sta dicendo, oppure ringraziamolo perché ci ha consentito di capire meglio qualcosa o riconosciamo un aspetto (almeno uno ci sarà!) su cui siamo allineati e i nostri interessi convergono (“abbiamo entrambi interesse a portare a casa il risultato migliore per l’azienda/cliente”…). Poi osserviamo l’effetto che ha su di lui e, quindi, sulla discussione. Un conto sono gli interessi professionali, un conto sono i bisogni primari dell’uomo: ogni uomo – anche quello apparentemente più freddo o momentaneamente alterato – ha sete di riconoscimento, comprensione e gratificazione.

5. se sei un Manager o un responsabile (anche un Project Manager o un Team Leader), comincia a notare tutte quelle cose “ovvie” che i tuoi collaboratori fanno e che dai per scontate. Sottolinea un lavoro ben fatto, compiaciti con chi ha mantenuto un impegno, riconosci uno sforzo extra, concedi un incoraggiamento. E se capti un malumore o una fatica, fermati a riconoscerla e ad approfondirla: sentire l’attenzione del Manager è già essere a metà strada verso il suo superamento.

Parola di agente dell’FBI*.

 

*I primi 4 punti sono tratti dalle tecniche di persuasione utilizzate con i sequestratori di ostaggi, situazioni ad alto tasso di emotività. Per approfondimenti: Christopher Voss, “Never split the difference: negotiating as if your life depended on it” – George Kohlrieser, “La scienza della negoziazione”.

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