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FINDING #4: Per gestire le emozioni degli altri il leader deve prima saper gestire le sue

COVID-19: MA AI LEADER CHI CI PENSA?
Negli articoli precedenti, che potete leggere QUI, abbiamo raccontato dell’importanza della sfera emotiva nella buona gestione d’impresa, specialmente durante i momenti di crisi (come quella da Covid-19 scoppiata a marzo 2020, giusto all’inizio della nostra ricerca) e di come, nonostante le difficoltà a parlarne, i leader d’impresa si siano adoperati per tranquillizzare e dare sicurezze al proprio asset più importante: le persone.
Nell’articolo relativo al finding #3, abbiamo evidenziato le numerose azioni implementate per la gestione delle emozioni nelle organizzazioni, sia a livello centrale che a livello più personale.

I Leader intervistati hanno raccontato con facilità delle iniziative che hanno intrapreso per rasserenare il clima e portare sicurezza e speranza durante un momento delicato come quello degli esordi della pandemia.
Tuttavia, quando chiedevamo loro di focalizzarsi sul proprio vissuto emotivo, abbiamo riscontrato delle difficoltà a parlarne, come se chiedessimo loro di parlarci di qualcosa che era fuori dai radar della loro attenzione, qualcosa a cui non avevano fatto troppo caso. O, addirittura, qualcosa di quasi sconveniente per un Leader.

Questa contraddizione è estremamente interessante, perché pone l’attenzione su aspetto chiave della Leadership: sul fronte della gestione delle persone, i Leader d’impresa sembrano essere focalizzati più sui collaboratori che sulla gestione di se’. Il che sembrerebbe ovvio e di sicuro socialmente ed eticamente apprezzabile: più salgo nella catena gerarchica e più devo volgere lo sguardo fuori di me e occuparmi degli altri.
Ma su questo aspetto c’è un grande equivoco: occuparmi di me come Leader non significa perseguire i miei interessi personali o essere spietatamente egoista bensì lavorare su di sè per poter sviluppare quelle “abilità sociali” che servono a gestire meglio gli altri.

Le abilità sociali sono parte integrante del costrutto dell’Intelligenza Emotiva e ne rappresentano la componente più evoluta. E’ stato dunque fondamentale, nell’ambito della ricerca, determinare quanto questa competenza fosse presente ed esercitata nell’agito degli intervistati.

Goleman, nel suo modello di IE, afferma che affinché le competenze di leadership si possano esprimere compiutamente, è necessario che la persona sia prima di tutto consapevole del proprio vissuto emotivo e di come esso si manifesti internamente, ovvero che abbia consapevolezza di sé o, come si dice, autoconsapevolezza. Proprio a partire da questa competenza di sé, si possono sviluppare le competenze di una leadership efficace. Infatti, una volta che una persona è consapevole di ciò che sta provando in un dato momento e di come le emozioni possano influenzarlo, entra in gioco il secondo aspetto del modello, ovvero la capacità di gestire quelle stesse emozioni affinché non trascinino il proprio agire in maniera automatica e il più delle volte inefficace.
Dopo, e solo allora, la gestione delle proprie emozioni, si può a quel punto passare a osservare gli altri e le loro emozioni, sviluppando, cioè, competenze di “Intelligenza Sociale”.

Anche qui si parte dal primo livello che è la consapevolezza.  La consapevolezza sociale è il radar che permette di essere consapevoli di ciò che avviene nell’ambiente, quali emozioni sono in gioco nei collaboratori, colleghi, team o clienti, com’è il clima o quali sono le persone chiave di una rete decisionale. Da ultimo, ma più importante, quando si è sviluppata una attenta consapevolezza dell’altro, ecco che si arriva al quarto step del costrutto dell’Intelligenza Emotiva e possono entrare in gioco le competenze relative alla gestione dell’altro (e degli “altri”, a livello collettivo).
Ascolto attivo, sintonia, empatia ed influenza sociale sono alcune delle competenze di riferimento in questa sfera di intelligenza emotiva denominata “intelligenza sociale”.

Dall’analisi delle interviste abbiamo notato come, rispetto a questo modello, un buona parte dei Leader siano più concentrati sull’aspetto di abilità sociali (quelle rivolte verso l’esterno di sé, verso l’organizzazione e il mercato) più che sulle abilità rivolte alla sfera emotiva personale.

Ma questo non significa necessariamente che si trovino ad agire con un alto grado di intelligenza emotiva: come Goleman stesso asserisce, non ci può essere intelligenza sociale senza autoconsapevolezza e autoregolazione. Come a dire: non posso costruire il quarto piano di una casa senza avere almeno alcuni elementi portanti dei primi tre sotto.

Una possibile  spiegazione che come team di ricerca abbiamo dato a questo fenomeno (mi occupo prima di gestire gli altri piuttosto che di occuparmi di me) è che il focus “fuori da se’” faccia parte dell’abitudine ad agire il ruolo da manager, piuttosto che un’azione emotivamente consapevole sviluppata a partire da una vera competenza. E’ pensiero comune che “il Leader si debba occupare degli altri” e quindi ci si allinea a questa aspettativa sociale focalizzando la propria attenzione ai propri collaboratori, ma trascurando il fatto che per influenzare positivamente gli altri devo prima di tutto riconoscere ciò che inconsciamente mi sta guidando.

Una seconda spiegazione che abbiamo dato è associata al ruolo stesso di Leader ed è inerente il senso di responsabilità che proviene dal guidare un’organizzazione e ottenere da essa delle performance. Tale senso di responsabilità nei confronti dell’azienda – intesa sia come organizzazione produttiva che come insieme di persone – potrebbe venire interiorizzato come un meccanismo di ruolo che implicitamente richiede di mettere in secondo piano gli aspetti “personali”, come fossero un lusso che il Leader non si può permettere… Ma, paradossalmente, questa “svista” erroneamente auto-legittimata genera una Leadership meno efficace.

Riteniamo che questo possa essere la causa del fenomeno per cui i Leader ci hanno raccontato con fierezza di come il loro approccio alle emozioni sia quello di razionalizzarle.

Poiché sono una persona capace di mascherare le proprie emozioni,
 almeno in azienda cerco di non farle trasparire


L’IMPORTANZA DI RICONOSCERE LE EMOZIONI
La negazione (o i vari meccanismi di allontanamento) delle proprie emozioni è anche dovuta ad una erronea attribuzione di debolezza (specialmente nel genere maschile). E’ necessario, e possibile, imparare invece a decodificare le emozioni cosiddette “negative”, affinché ci rendano più consapevoli dei nostri bisogni e delle nostre possibilità di crescita umana e professionale, sia nostre che degli altri. Le emozioni possono infatti fornire grande qualità e spessore alla Leadership, rendendo chi la esercita un Leader stimato e seguito “volentieri”, come la famosa definizione di Eisenhower ci ricorda.

“La Leadership è la capacità di far fare agli altri quello che tu vuoi, volentieri” [Dwight Eisenhower]

Ad esempio, una qualità chiave dell’intelligenza emotiva (nella parte delle competenze sociali, cioè secondo e terzo step) è la sintonia, intesa come la capacità di sintonizzarsi sugli stati emotivi dell’altro (o dello stato emotivo collettivo). Questa competenza è chiave nella Leadership: se ad esempio un leader dovesse fare un bel discorso razionale sulla fiducia e sulla speranza ad un uditorio nel panico o molto stressato, per quanto positivo possa essere il messaggio e l’intenzione, il rischio è che non raggiunga il cuore delle persone, qualora il loro stato emotivo di sconforto, insicurezza e paura fosse così forte da non permettere nemmeno l’ascolto.
Conoscere le emozioni vuol dunque dire capire che impatto possono avere su di sè e sugli altri, vuol dire potersi sintonizzare sulle stesse frequenze emotive per aiutare le persone a superare anche i momenti di difficoltà in modo rapido e rinsaldando i legami. Comunicare con una persona entusiasta, è davvero diverso da comunicare con una persona impaurita.
Anche se il messaggio dovesse essere lo stesso.

Ma se i leader sono coloro che devono prendersi cura dell’organizzazione, chi si prende cura di loro, se non loro stessi?

GESTIRE LE MIE EMOZIONI PER AIUTARE GLI ALTRI A GESTIRE LE LORO
Gestire le proprie emozioni significa accettare di poter essere abitato anche da quelle negative, senza vergognarsene ma considerandole parte della naturale vulnerabilità umana. Un possibile rischio di questo aspetto è che i Leader mistifichino le proprie emozioni esibendo solo quelle che ritengono “culturalmente” accettabili per un ruolo di comando (fiducia, positività, entusiasmo, passione, ambizione), negando di fatto la propria umanità, e implicitamente affermando il tratto culturale secondo cui un Leader “non può avere paura o essere triste”.

Coloro che sono consapevoli delle proprie emozioni sono anche coloro che maggiormente le utilizzano in modo positivo attraverso una migliore sopportazione della frustrazione e controllo della collera, una condotta meno governata dalla rabbia, una migliore capacità di affrontare lo stress e descrivono una minor solitudine e ansia nei rapporti sociali.

“Un imprenditore deve avere coraggio e questo lo dicono tutti.Ma un imprenditore deve avere riconoscere di avere paura! Lo dico perché in questo momento storico a me è richiesto tantissimo coraggio, come a tutti i manager e imprenditori, ma anche la consapevolezza di provare emozioni come paura, le chiami come vuole, preoccupazione e quant’altro, che pone con i piedi per terra e rende le decisioni più realistiche ed accettabili…. il machismo tossico è uno dei limiti che mostra quell’imprenditoria che è esclusivamente ispirata al coraggio e alla spavalderia…”

Una volta abituati a riconoscere veramente le emozioni è possibile accedere a strumenti sani di gestione delle stesse sia per noi cheper aiutare gli altri a gestire le loro, così da supportarli a superare momenti difficili e ritrovare nuove energie positive.

“[…]  Avvicinarmi alle persone è il mio modo per parlare a tutti e cercare di portare un conforto in una situazione abbastanza paradossale come quella che stiamo vivendo. Anche se il mio approccio è sempre quello di vedere il bicchiere mezzo pieno, cerco comunque di rincuorarli senza sminuire le loro preoccupazioni, mostrando loro empatia. Devo dire che questo ha avuto un grosso effetto e stanno continuando a portare risultati al loro meglio. “

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